C’è un momento preciso in cui la percezione smette di essere solo una sensazione epidermica e diventa un dato di fatto, certificato nero su bianco. Per il Portogallo, quel momento sembra essere arrivato con l’ultima copertina dell’anno, metaforica e non, regalata dal The Economist. La prestigiosa rivista britannica ha eletto il Portogallo “economia dell’anno” per il 2025. Posizionandolo di fatto al vertice della classifica che monitora i 36 Paesi più ricchi del globo. Un risultato che ha il sapore della rivincita per il Sud Europa, soprattutto se si considera che lo scettro è stato strappato ai vicini di casa della Spagna, scivolati quest’anno al quarto posto dopo aver dominato la scena l’anno precedente.
Non è un mistero che il Paese lusitano stia vivendo una fase di effervescenza, visibile a occhio nudo passeggiando per i cantieri di Lisbona o osservando i flussi turistici in Algarve. Tuttavia, quando a dirlo è l’analisi comparata di cinque indicatori macroeconomici fondamentali — inflazione, deviazione dell’inflazione, Prodotto Interno Lordo (PIL(), occupazione e performance del mercato azionario — il discorso assume un peso specifico diverso. The Economist dipinge un quadro in cui il Portogallo è riuscito nella non facile impresa di combinare una crescita robusta del Pil con un tasso di inflazione tenuto sotto controllo. Il tutto condito da un mercato azionario che la rivista definisce “in forte espansione”.
Portogallo economia dell’anno: turismo e l’attrattiva fiscale
Andando a scavare sotto la superficie patinata del premio, emergono i veri motori di questa accelerazione. Non si tratta, o almeno non ancora, di una improvvisa reindustrializzazione o di una miracolosa scoperta di risorse naturali, bensì della capacità di mettere a frutto ciò che il territorio offre. Secondo l’analisi britannica, il turismo continua a essere il vero traino del Pil e dell’occupazione, confermandosi l’asset strategico per eccellenza. Ma c’è un secondo fattore, forse più delicato da maneggiare in termini di politica interna: l’afflusso di capitali esteri.
La rivista sottolinea esplicitamente come “molti stranieri facoltosi si stiano trasferendo nel Paese per approfittare delle basse aliquote fiscali”. È qui che l’analisi deve farsi lucida e priva di trionfalismi di maniera. Se da un lato l’arrivo di nuovi residenti ad alto reddito — categoria in cui rientrano molti pensionati e professionisti italiani — ha immesso liquidità e rivitalizzato il mercato immobiliare e dei servizi, dall’altro pone interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine di un modello di crescita fortemente dipendente da fattori esogeni. L’economia vola, è vero, ma il rischio di creare una forbice sociale sempre più ampia tra chi beneficia di questi flussi e chi ne subisce le conseguenze, come l’aumento del costo della vita, è un tema che non può essere derubricato a semplice effetto collaterale.
La geografia economica si ribalta
Osservando la classifica nella sua interezza, si nota un interessante ribaltamento dei tradizionali equilibri continentali. Mentre il Portogallo guarda tutti dall’alto, seguito dall’Irlanda (un’altra economia che ha fatto della fiscalità una leva competitiva) e da Israele, il Nord Europa arranca. Le posizioni di coda sono occupate da economie che, fino a pochi anni fa, erano considerate modelli di stabilità e crescita: Estonia, Finlandia e Slovacchia chiudono la lista, penalizzate pesantemente dagli indicatori presi in esame.
È la rivincita della “periferia”, o forse il segnale che in un contesto globale sempre più instabile, la flessibilità e l’attrattività turistico-residenziale pagano dividendi più immediati rispetto ai modelli industriali tradizionali del Nord. Per l’Italia e gli italiani che hanno scelto il Portogallo, questo dato conferma la bontà di una scelta di vita, ma suggerisce anche che le dinamiche europee sono in rapida mutazione e che le vecchie certezze geografiche non reggono più alla prova dei numeri.
Tra ottimismo politico e riforme necessarie
Inevitabile che un riconoscimento del genere venisse accolto con favore, se non con entusiasmo, dai palazzi della politica portoghese. Il primo ministro Luís Montenegro non ha perso tempo a rivendicare il risultato, definendolo su X (ex Twitter) come un “giusto tributo al merito e al lavoro del popolo portoghese”. Nelle parole del premier si legge la volontà di utilizzare questo endorsement internazionale come carburante per l’azione di governo: “È attraverso riforme coraggiose e rendendo il Paese più competitivo e produttivo che continueremo a creare posti di lavoro, aumentare i salari e rafforzare lo Stato sociale”.
É com esperança e confiança que vemos um reconhecimento internacional excepcional de Portugal. A distinção pela revista “The Economist” de que a “economia do ano” foi a portuguesa é uma justa aclamação do mérito e do trabalho dos portugueses e reforça a motivação do Governo em…
— Luís Montenegro (@LMontenegro_PT) December 7, 2025
Le previsioni dell’esecutivo, che stimano una crescita del 2% per l’anno in corso e del 2,3% per il prossimo, sembrano allinearsi con l’ottimismo che arriva da Londra. Tuttavia, come spesso accade quando si parla di economia reale, serve quella massiccia dose di realismo che non deve mai mancare. I numeri macroeconomici sono eccellenti, ma la sfida vera per il governo Montenegro sarà trasformare questa crescita “da copertina” in benessere diffuso. Evitando quindi che il Paese diventi un paradiso per pochi e una sala d’attesa per molti altri. Il riconoscimento del The Economist è un ottimo punto di partenza, non un traguardo su cui adagiarsi. Il 2026 dirà se il Portogallo saprà essere non solo l’economia dell’anno, ma un modello solido anche per quelli a venire.
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