Oggi segna l’inizio di quello che a Bruxelles amano definire un cambio di paradigma, ma che per l’automobilista comune si traduce in una nuova serie di regole con cui fare i conti. Entrano infatti in vigore le nuove norme relative alle patenti di guida nell’Unione Europea. Un pacchetto di misure che tenta di coniugare la necessaria modernizzazione tecnologica con l’urgenza drammatica di ridurre la mortalità stradale. L’obiettivo dichiarato è ambizioso: dimezzare morti e feriti gravi entro il 2030 e azzerarli per il 2050. Sulla carta le intenzioni sono nobili (e ci mancherebbe altro), ma come spesso accade nel complesso ingranaggio comunitario, tra il dire e il fare c’è di mezzo il recepimento delle singole nazioni. Ogni Stato membro, Portogallo e Italia inclusi, ha ora quattro anni di tempo per attuare queste disposizioni, inclusa la patente in formato digitale. Non sarà un processo immediato, ma la direzione è tracciata.
L’arrivo della patente digitale in Portogallo e in Europa
La novità forse più tangibile per chi vive una quotidianità divisa tra due Paesi è la dematerializzazione del documento di guida. Le nuove patenti potranno essere utilizzate in tutta l’UE tramite smartphone o altri dispositivi, rendendo la patente digitale anche in Portogallo una realtà di default. Esattamente come nel resto del vecchio continente.
Si tratta di un passo avanti notevole sul fronte della burocrazia, che dovrebbe semplificare la vita a chi viaggia spesso e si trova a dover gestire rinnovi o controlli lontano dal luogo di residenza. Tuttavia, per evitare di lasciare a piedi chi non possiede uno smartphone o chi semplicemente non si fida ciecamente della tecnologia, la versione fisica della patente resterà disponibile su richiesta. Una clausola di salvaguardia necessaria, considerando che non tutti i sistemi informatici dialogano ancora alla perfezione e che, in caso di “down” del sistema, il vecchio pezzo di plastica nel portafoglio rimane l’unica certezza.
Giovani al volante e percorsi professionali
L’altro grande pilastro della riforma riguarda l’età di accesso alla guida. I diciassettenni potranno ora mettersi al volante di veicoli leggeri, purché affiancati da un conducente esperto. È una scommessa sulla responsabilità, accompagnata però da un periodo di prova di almeno due anni per i neopatentati, durante il quale le regole saranno decisamente più ferree. Parallelamente, per rispondere alla cronica carenza di autisti nel settore logistico, si aprono le porte ai diciottenni per la guida di autocarri e ai ventunenni per gli autobus, a patto di possedere un certificato di idoneità professionale. Una mossa che il mercato chiedeva da tempo, ma che dovrà necessariamente essere bilanciata da una formazione rigorosa.
Con la nuova patente fine dell’impunità oltre confine

Un aspetto cruciale riguarda il giro di vite sulle infrazioni commesse all’estero. Fino a oggi, una sospensione della patente in un Paese membro poteva, in certi casi, non avere effetti immediati nell’altro, creando zone d’ombra in cui chi commetteva infrazioni gravi poteva sperare di farla franca. Le nuove norme introducono il riconoscimento reciproco delle sospensioni della patente. Ovvero chi commette un’infrazione grave, ad esempio, in Portogallo vedrà le conseguenze ripercuotersi anche sulla sua patente italiana, e viceversa. È la fine di una certa “impunità turistica” e l’istituzione di un sistema di scambio dati rapido su ritiri e limitazioni.
Una sfida di mentalità e formazione
Resta da vedere se queste misure basteranno a invertire la tragica contabilità delle vittime della strada, che solo lo scorso anno ha registrato quasi 20.000 decessi nell’UE. La tecnologia aiuta, la patente digitale snellisce, ma il cuore del problema risiede spesso nella formazione. Non è un caso che l’esame di guida verrà aggiornato per includere la conoscenza dei rischi legati agli angoli ciechi, l’uso dei sistemi di assistenza alla guida e, soprattutto, i pericoli della distrazione da smartphone. Perché se è vero che la modernità ci offre strumenti sempre più connessi, è altrettanto vero che la fragilità del sistema risiede quasi sempre nel fattore umano.
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