Il titolo di questo articolo ne è la sintesi perfetta.
Solo chi ha vissuto all’estero, che sia stato per un tempo breve oppure più lungo, ha sicuramente sperimentato questo vissuto.
Si tratta di quella percezione di sentirsi sempre sotto esame e di avvertire una vera e propria pressione nel dover dimostrare a chi è rimasto che la propria scelta è stata una scelta giusta.
A cosa è legata questa pressione?
A volte questa pressione si basa su fattori reali: spesso infatti accade che amici o familiari, in modo esplicito oppure implicito, trasmettano un rammarico e delle rimostranze rispetto alla scelta presa, perché preoccupati o perché semplicemente stanno comunicando in modo “manipolatorio” sentimenti come la mancanza e la tristezza legate alla distanza fisica e alla separazione, oppure in altri casi sentimenti quali l’invidia.
Queste rimostranze possono determinare in chi è espatriato dei sentimenti di rappresaglia, per cui nasce il bisogno di dimostrare che ne è valsa la pena trasferirsi, che la propria scelta è stata giusta.
Molte altre volte, in realtà, queste pressioni esterne non esistono o non sono così forti, ma ciò non toglie che un expat possa sentire questo tipo di pressione interna.
A volte più che agli altri si vuole dimostrare qualcosa a sé stessi, e sul perché questo accada non basterebbe un libro per raccontarlo.
I rischi di identificarsi troppo con questa “sfida”
Questo tipo di atteggiamento, per quanto possa apparire innocuo, non lo è per niente.
Se agiamo, prendiamo decisioni e interpretiamo la realtà sulla base di questa “pressione” interna a dover dimostrare qualcosa, viene da sé che la nostra esperienza del presente, del qui ed ora, sarà fortemente inquinata da questa dinamica.
Ogni piccolo successo, oppure ogni piccolo aspetto “positivo” della nostra esperienza di espatrio, verrà facilmente sovrastimato e idealizzato, quasi a voler confermare a noi stessi che abbiamo fatto la scelta giusta.
Al contrario, ogni ostacolo e ogni difficoltà, anche piccoli, possono essere vissuti come profondi fallimenti, quando è ovvio che ad un’analisi più lucida non lo sono: nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di ostacoli normali e fisiologici in questo cambiamento di vita.
Integrarsi richiede tempo, stabilizzarsi economicamente anche, parlare bene la lingua pure, e la lista potrebbe continuare ancora per molto.
Oltre ai bias che si possono attivare, un altro rischio ancora più grande legato all’identificarsi troppo con questa pressione interna è quello di perdere spontaneità, di fare scelte un po’ forzate, poco sentite, che poco rispecchiano ciò di cui abbiamo davvero bisogno in quel momento.
Come non lasciarsi coinvolgere da questo vortice
Come sempre ricordiamo, la lettura di un articolo non è sufficiente a lavorare in profondità ed in maniera realmente trasformativa sulle nostre dinamiche interne.
Però se leggendo queste righe avete sentito che qualcosa vi “risuonava”, il primo passo è stato già compiuto: avete riconosciuto in voi la presenza di questo meccanismo o di parte di esso.
Un secondo passo potrebbe essere quello di fermarsi e chiedersi:
Nello specifico, com’è per me?
Ossia: come si manifesta nel mio quotidiano questa dinamica?
Queste domande sono solo alcuni esempi di primi passi che in terapia si possono compiere per sviluppare una maggiore consapevolezza di sé.
Servono come base iniziale per sviluppare e nutrire un atteggiamento più amorevole ed accogliente verso di sé, una presenza più radicata nel qui ed ora, e una maggiore capacità di non lasciarsi coinvolgere da dinamiche interne poco costruttive.
Contatti:
Dottoressa Federica Caso – Psicologa
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Email: federica.caso.psicologa@gmail.com
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